ALBA ADRIATICA – Si è aggravata la posizione del carabiniere che lo scorso 18 dicembre uccise con un colpo partito dalla sua pistola d’ordinanza, il tunisino 37enne Akim Hadyi, all’interno di un appartamento sul lungomare Marconi. Il militare impegnato in un servizio antidroga, dopo una prima iscrizione nel registro degli indagati con l’ipotesi di eccesso colposo di legittima difesa, adesso è accusato di omicidio preterintenzionale. E’ uno dei clamorosi sviluppi dell’inchiesta condotta dal pubblico ministero Davide Rosati, che dal giorno della tragica sparatoria sta cercando di ricostruire cosa effettivamente è accaduto su quel pianerottolo all’ultimo piano del grosso palazzo. Il lavoro investigativo si è arricchito in questi giorni di due altre particolari e importanti novità: l’arresto del fratello della vittima, Gamal Hadyi, adesso rinchiuso nel carcere napoletano di Poggioreale, e la scoperta che in quell’appartamento la sera della tragedia, c’erano quattro persone. Oltre alla vittima e al fratello, impegnati nel confezionamento di dosi in cui suddividere i 150 grammi di eroina, c’erano anche due donne. Che adesso, assieme all’extracomunitario superstite, sono diventate le testimoni chiave del delitto. Qualcosa, in quei concitati momenti, non andò per il verso giusto secondo le procedure di un abituale controllo antidroga. La reazione dei due nordafricani, ma soprattutto la comparsa di un coltello e il nervosismo che ne seguì, sono stati elementi decisivi per trasformare quell’irruzione in una tragedia. A contribuire alla ricostruzione della vicenda un altro particolare inquietante, emerso da una seconda verifica anatomo-legale sui risultati della autopsia: Akim Hadyi sarebbe stato colpito da dietro, e lo confermerebbe il tramite del proiettile nella gamba, dall’alto in basso e da dietro in avanti. Il colpo trapassò l’arteria femorale provocando il dissanguamento del 37enne straniero.
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